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70 emilio salgari


La luna, che era sorta allora allora, permetteva di scorgere l’animale, il quale si era fermato fuori dell’ombra proiettata dall’enorme pianta.

Era un bestione lungo più di quattro metri, di forme pesanti e massicce, alto un metro e mezzo circa, coperto da una pelle secca e rugosa, quasi senza pelo e che formava sul dorso e sui fianchi delle grandi ripiegature.

Quella pelle è così grossa, da resistere a qualsiasi colpo di spada e di lancia e, sovente, ai proiettili. I moschetti di vecchio modello usati dai negri sono assolutamente inoffensivi contro simili animali e le palle si schiacciano invano su quella specie di corazza. Soli punti vulnerabili sono il ventre e gli occhi, sicchè i cacciatori che vogliono assalirli sono costretti ad aspettare il momento in cui essi mostrano i fianchi, se vogliono avere qualche probabilità di batterli. I rinoceronti godono fama di essere stupidi, brutali e ferocissimi. Quando sono arrabbiati non si arrestano dinanzi ad alcun pericolo e caricano alla disperata, a testa bassa, col corno teso orizzontalmente. Questo corno è pericolosissimo e serve a meraviglia a tali animali. È lungo sessanta e talvolta perfino ottanta centimetri, aguzzo all’estremità e d’un avorio così duro da resistere a qualunque proiettile.

Ve ne sono alcuni che ne hanno due invece di uno; il secondo è più piccolo e ben poco serve all’animale.

L’arabo conosceva troppo bene i rinoceronti per non tenersi in guardia.

Sapeva che tali bestioni, una volta irritati, non si arrestano più; quindi aveva consigliato i suoi amici di non far fuoco che a colpo sicuro.

— Anche uccidendolo nulla avremo da guadagnare, essendo la sua carne durissima e di pessima qualità — disse. — Aspettiamo nella speranza di vederlo allontanarsi.

Il rinoceronte forse non pensava di tornare così presto nella foresta dalla quale era uscito. Aveva già veduti confusamente i tre cacciatori e sembrava disposto a rimirarli da vicino. Un resto di diffidenza lo tratteneva ancora; ma non doveva durare