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il treno volante 69


«Vedendo il mio povero servo fra le unghie del leone, non volli abbandonarlo alla triste sorte.

«Ricaricai l’arma e mirai la fiera, senza prendere la precauzione di ripararmi dietro una roccia.

«Se l’avessi fatto non mi sarei lasciato rompere stupidamente la spalla.

«Il leone, vedendo che lo miravo, lasciò Heggia e con un salto fulmineo mi fu addosso. Feci fuoco, colpendolo a volo, ma la palla non lo arrestò.

«Mi atterrò e, con un colpo di zampa, mi fracassò la spalla destra mettendo a nudo la scapola.

«Il dolore fu così atroce che smarrii i sensi nel momento che Heggia, sfuggito quasi incolume, fulminava il mio avversario con una palla nel cranio.

«Quando...

— Avanti — disse il greco, non udendo più l’arabo.

— Non amo di essere udito da intrusi — disse l’arabo, alzandosi e prendendo il fucile.

— Chi è che ci ascolta? — chiese il tedesco, imitandolo.

— Guardate chi s’avanza verso noi, in direzione del fiume. Non è già uno dei nostri servi.

— Sembra un bue gigantesco — disse il greco.

— Capace di infilarci tutti e tre col suo corno — disse l’arabo. — Attenti, abbiamo da provarci con un rinoceronte! Altro che gazzelle ed antilopi!

— Una bestia assai cattiva e dalla pelle durissima — disse il tedesco.

— Mettiamoci in guardia — consigliò l’arabo. — Sembra che abbia voglia di provare il suo corno su di noi.

— Montiamo sulle radici — disse il greco. — Sono alte tanto da metterci fuori di portata dal suo corno.

La proposta era buona, perciò fu subito accettata. I tre cacciatori salirono sulle radici, le quali erano non solo molto grosse e resistenti, ma anche molto alte, toccando quasi le prime foglie del banano.