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il treno volante 65


— Sarebbe un bel principio — disse il tedesco. — Per mio conto non me lo lascerò sfuggire.

— Non scherziamo con quegli animali! — disse l’arabo. — Io ne ho uccisi parecchi e so quanto sono pericolosi.

«Anzi un giorno ho preso un colpo d’unghia che mi ha strappato mezza spalla.

— Ci racconterai questa storia, El-Kabir? — disse il greco.

— Sì, mentre attendiamo la selvaggina — aggiunse Ottone.

— Prima cerchiamo un nascondiglio sicuro.

— Cerchiamolo — concluse il grecò.

Costeggiarono per due o trecento passi il fiume il quale, in quel luogo, descriveva una curva molto accentuata e s’inoltrarono nella foresta, arrestandosi dinanzi ad un banano immenso formato da una moltitudine di tronchi rassomiglianti alle colonne di una grande cattedrale.

Le grandissime foglie di quella pianta, che sono lunghe cinque metri e larghe uno e mezzo, proiettavano sul suolo un’ombra fitta e i tronchi numerosi formavano una specie di fortilizio nel caso che qualche leone o qualche leopardo, avvertendo la presenza degli uomini, tentasse di assalirli.

L’arabo, che era prudentissimo e che era stato un valente cacciatore, prima percorse tutto lo spazio coperto dall’ombra del banano, poi condusse i suoi amici presso il tronco principale, le cui radici, sollevandosi sul terriccio, formavano parecchi sedili naturali.

— Fermiamoci qui — disse. — Da questa parte sorveglieremo la foresta e le rive del fiume.

— Che silenzio! — esclamò il tedesco.

— E che frescura deliziosa — disse il greco.

— Questa quiete non durerà molto — disse El-Kabir. — Tra poco la foresta echeggerà tutta di ululati e di fragori.

— Per ora tutto è tranquillo — osservò Ottone.

— La luna non è ancora sorta e le tenebre lottano ancora con la luce del tramonto.

— Avremo da aspettare molto?