Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
62 | emilio salgari |
Nè il greco, nè Ottone avevan dato alcun peso a quel fatto semplicissimo.
— Berranno quella bottiglia alla nostra salute — aveva detto semplicemente Matteo. — Ne abbiamo ancora una bella scorta.
Poco dopo il Germania lasciava il fiume passando sopra immensi boschi e paludi pullulanti di uccelli.
Alcune aquile dalla testa bianca e con le penne del corpo grigie, vedendo passare il treno volante s’innalzarono e vennero a volteggiare attorno alla piattaforma, manifestando delle idee molto bellicose.
Un colpo di rivoltella sparato molto opportunamente dal greco, le decise a ritornare a terra ed a nascondersi in mezzo agli alberi.
Verso sera il Germania, che aveva rallentata la corsa, essendo il vento diminuito, giungeva sui confini dell’Useoma, designati da una catena di collinette e da affluenti del Wami.
Vedendo che il luogo era deserto, e che il sole stava già per tramontare, il tedesco fece la proposta di fermarsi.
— Giacchè vedo un fiume, ne approfitteremo per rinnovare la nostra provvista d’acqua.
— Siamo ancora molto alti — disse il greco.
— A duecentocinquanta metri.
— Il gas non ha ancora cominciato a condensarsi.
— Proveremo ad abbassarci forzando le eliche. Desidero fare una battuta fra quei boschi prima che la luce scompaia del tutto. Getta un’àncora, Matteo.
— Avremo corda sufficiente?
— Quella dell’àncora misura trecento metri.
— Gettiamola — disse l’arabo.
I due negri staccarono l’àncora che stava appesa sul dinanzi della piattaforma e la calarono finchè la videro toccare il suolo.
Il Germania correva in quel momento sopra una pianura verdeggiante cosparsa di gruppi di sicomori e di bauchinie.
— Attenti all’urto! — disse il tedesco.
L’àncora balzava al suolo strappando erbe e cespugli, senza