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36 emilio salgari

a cena, sotto la fresca ombra del sicomoro, quando udirono il negro che vegliava sulla terrazza dare l’allarme.

I due europei erano subito balzati in piedi.

— Cosa hai veduto, Meopo? — chiese il greco, alzando gli sguardi verso la terrazza.

— Padrone — disse il negro, — vedo una barca a vela, una dau, avanzarsi lentamente verso la costa.

— Che sia quella dell’arabo? — disse Ottone.

— È possibile — rispose il greco. — Verrà a sorvegliarci. Andiamo sulla terrazza.

Salirono la scala esterna che conduceva sulla cima della casa e giunti lassù guardarono verso il mare.

Il sole era tramontato, però vi era ancora luce sufficiente per poter scorgere una barca navigante sulla placida superficie dell’Oceano.

Bastò quindi un solo sguardo ai due europei, per accertarsi di non essersi ingannati. La dau che aveva cercato di arrestarli appena fuori da Zanzibar, navigava a meno di un chilometro dalla costa, passando in quel momento precisamente dinanzi alla villetta del greco.

Essendo il vento molto debole, si avanzava lentamente, fingendo di dirigersi verso il sud.

— Ci spiano — disse Matteo. — Essi devono essersi informati.

— Che sia la dau d’Altarik?

— Sì, Ottone. Un marinaio della mia esperienza non può ingannarsi.

— E cosa vogliono questi arabi?

— Saranno curiosi di sapere cosa facciamo, e se prepariamo qualche spedizione in cerca del tesoro. Sospettano qualche cosa, mio caro professore.

— Se avessi già il pallone gonfiato, mi divertirei a fracassare il loro legno.

— In quale modo?