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28 emilio salgari


Dinanzi a quella minaccia, formulata in modo energico, tutta la spavalderia dell’arabo scomparve come per incanto.

Retrocesse fino al timone, guardando con gli occhi spaventati gli europei, temendo di ricevere qualche palla nel cranio e diede ordine ai suoi uomini di virare di bordo.

La dau, rimessasi al vento, riprese il largo dirigendosi lentamente verso Zanzibar, mentre la barca, sotto i vigorosi colpi di remo del negro, continuava la corsa.

— È così che bisogna agire con questi insolenti di arabi — disse il greco. — Se un bianco si lascia intimorire, guai a lui! Sarebbe finita per gli europei che abitano quest’isola.

— Hai degli argomenti molto spicci — disse il tedesco.

— Se non avessi mostrata la rivoltella, ci avrebbero presi e condotti a Zanzibar.

— Dal Sultano?

— Il Sultano non c’entra affatto in questa aggressione. È Altarik che ha dato ordine di catturarci.

— E che cosa avrebbe potuto fare di noi?

— Imprigionarci in qualche sua villa e poi magari avvelenarci.

— Che sia ancora qui quel maledetto arabo? — chiese il tedesco. — Comincia a darmi noia.

— Il negro potrà forse saperlo — rispose il greco.

Interrogò il battelliere chiedendogli informazioni.

— Non lo si sa — rispose il negro. — Altarik dimora poco a Zanzibar, avendo i suoi più vasti magazzini a Bagamoyo. È però probabile che sia partito per il continente, recandosi sovente a Taborah.

— Se è partito, ce lo lasceremo egualmente indietro — concluse il tedesco. — Nessuno può gareggiare con un pallone, nemmeno un treno ferroviario.

La barca, intanto, spinta dai vigorosi colpi di remo del negro, continuava ad allontanarsi da Zanzibar.

Già la penisola triangolare, su cui la città sorge, cominciava a di-