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il treno volante | 27 |
— Quegli uomini non conoscono ancora nè la mia abilità nè miei muscoli — rispose il negro.
Si curvò sui remi e con pochi colpi poderosi spinse la barca verso la riva, che in quel luogo era deserta, essendo ormai usciti dalla linea dei sobborghi.
La dau non si diede per vinta e cambiando celermente la velatura, andò ad incrociare la scialuppa a quindici metri dalla riva, mettendosi attraverso il vento. Un uomo, che pareva un arabo dalla tinta della pelle, salì sulla prora, gridando:
— Chi siete?
— Europei — rispose il greco, stringendo la rivoltella.
— Dove andate?
— Non siamo obbligati a rendere conto a chicchessia delle nostre intenzioni.
— Qui comanda il Sultano e non gli Stati d’Europa. Avete il permesso di libera circolazione?
— Non l’ho mai chiesto a nessuno non avendone bisogno — rispose il greco.
— Allora vi impedisco di andare innanzi e vi riconduco a Zanzibar.
— Chi sei tu che pretendi fermarci?
— Un ufficiale del Sultano — rispose l’arabo.
— Birbante! — esclamò il greco. — Tu non sei altro che un servo di Altarik.
L’arabo, vedendosi scoperto e riconosciuto, guardò il greco con sorpresa.
— Tu t’inganni — disse poi. — Io sono veramente un ufficiale del Sultano.
— Ed io ti dico che se non riprendi subito il largo, ti ammazzo — disse il greco puntandogli contro la rivoltella, mentre il tedesco faceva altrettanto.
L’arabo, spaventato, fece qualche passo indietro.
— Farò rapporto al Sultano — disse.
— E anche noi ai nostri consoli — rispose il greco. — Presto, riprendi il largo, o facciamo fuoco.