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252 | emilio salgari |
I due europei e l’arabo, impotenti a far fronte a tanti avversari, si ritrassero più in alto, e di là fecero una seconda scarica, gettandosi poi subito a terra per evitare di essere colpiti dalle palle che fioccavano da tutte le parti.
In quel momento si udì Heggia gridare dall’alto della collina:
— In ritirata! Siamo pronti!
Matteo, El-Kabir e l’inglese raggiunsero velocemente la cinta.
Il Germania ondeggiava fortemente.
— Nella piattaforma! — gridò il tedesco.
I tre uomini balzarono dentro, mentre Heggia gettava via i massi ed i cilindri vuoti.
L’àncora fu staccata d’un colpo solo e il Germania cominciò ad alzarsi rapidamente.
In quel momento un arabo comparve sul margine della foresta.
— Ladri! — gridò. — Scendete!
— Altarik! — esclamò El-Kabir. — Prendi!
Un colpo di fucile rimbombò e l’arabo cadde mandando un forte gemito.
— Eccomi vendicato! — gridò El-Kabir, agitando il fucile ancora fumante.
Alcune scariche partirono di fra le piante. Le palle non potevano ormai più giungere fino al Germania, che si alzava con velocità crescente. Gli arabi e i negri con uno sforzo prodigioso si erano slanciati verso la piccola cinta che coronava la cima della collina e di là continuarono le loro scariche.
— Prendete anche voi! — disse Ottone lanciando una granata.
Il proiettile scoppiò proprio nel mezzo dei negri e degli arabi, facendo strage degli uni e degli altri.
I superstiti, spaventati, fuggirono a rompicollo salvandosi nei boschi, mentre il Germania a forza d’elica si allontanava in direzione di Kilemba. Passò lentamente sopra la città, affollata di negri, lasciando cadere addosso a loro quanti oggetti ritenuti inutili ancora restavano, poi scomparve fra le tenebre in direzione del Lubricki.