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248 | emilio salgari |
La rupe era pure stata spezzata e l’entrata della galleria era bella e sgombra.
— Tu, Matteo, rimarrai qui con Heggia e preparerai i cilindri — disse Ottone. — Noi intanto andremo incontro ai negri.
Accesero due lanterne e si cacciarono nella galleria, mentre il negro e il greco scoprivano la parte inferiore dell’immenso fuso e attaccavano le maniche di gomma ai due ultimi cilindri contenenti l’idrogeno compresso.
L’inglese e Ottone percorsero rapidamente la galleria e nella prima caverna incontrarono i negri guidati dall’arabo.
Quei bravi africani avevano mantenuta fedelmente la parola, ed erano rimasti nascosti nella boscaglia in attesa degli uomini bianchi.
Ridiscesi poi per l’apertura, avevano ricaricato l’oro e lo portavano ora ai loro padroni.
— Affrettatevi — disse l’inglese. — Forse fra poco avremo da fare coi negri di Kilemba e con gli uomini di Altarik.
— Che l’arabo sia già stato avvertito? — chiese Ottone.
— Lo suppongo — rispose l’inglese.
— Giungeranno troppo tardi. Il gonfiamento dei palloni non richiederà molto tempo.
Quantunque i negri fossero eccessivamente caricati, in meno di quindici minuti percorsero tutta la caverna e vennero a depositare i loro carichi nella piattaforma.
— Si vede nulla verso Kilemba? — chiese Ottone a Matteo.
— Sì, vedo una lunga striscia nera che si svolge nella pianura — rispose il greco.
— Vengono ad assalirci?
— Certo.
— Eppure mi pare impossibile che l’arabo abbia potuto entrare in città in così breve tempo.
— Si saranno accorti della scomparsa del pallone — disse l’inglese. — Da Kilemba si può scorgere benissimo il Germania, non essendo ancora tramontata la luna.