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236 | emilio salgari |
— Vi è una corrente d’aria che viene dal fondo della galleria! — esclamò con voce rotta dalla gioia. — Ciò significa che vi è qualche apertura comunicante con l'esterno.
— Sarà tanto vasta da permetterci l’uscita? — disse Ottone.
— Lo vedremo.
L’inglese si cacciò in quella spaccatura e si trovò in una specie di corridoio molto basso e molto stretto, il quale scendeva rapidamente.
Seguito quindi da vicino da Ottone, da Matteo e dall’arabo, s’inoltrò per duecento passi; poi si trovò dinanzi ad una piccola caverna circolare.
Dalla volta, molto alta, cadeva un fascio di luce.
— Ecco il luogo donde entra l’aria!
L’apertura che si vedeva in mezzo alla volta era di forma quasi circolare e pareva sufficiente a permettere l’uscita ad un corpo anche ben rotondo. Tutta la difficoltà stava nel salire fino a quell’apertura.
— Siamo salvi! — esclamò Matteo.
— Adagio, amico — disse Ottone. — Vi sono almeno sei metri e nè io nè tu siamo tanto alti.
— E non abbiamo nessuna scala — aggiunse l’arabo.
L’inglese invece taceva e pareva immerso in profondi pensieri.
— Cosa ne dite? — chiese Ottone, volgendosi verso l’ex-prigioniero.
— Io dico che usciremo di qui.
— In qual modo?
— Daremo la scalata a quell’apertura.
— Voi sapete che non abbiamo nemmeno un palo.
— Abbiamo qualche cosa di meglio.
— Spiegatevi.
— Le ceste dei nostri negri. Mettendole l’una sopra l’altra formeremo una colonna di quattro o cinque metri.
— Non cadrà?
— Le ceste sono molto larghe e riempiendole di polvere d’oro daremo alla colonna la stabilità necessaria.