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il treno volante 233


— Tenteremo una sortita — rispose l’inglese. — Sì. Questa notte ci proveremo a forzare l’uscita.

— Tacete! — disse El-Kabir, il quale da qualche minuto ascoltava attentamente. — Mi pare che battano una roccia.

— Quali intenzioni avranno quei birbanti? — chiese Ottone.

— Io sono tutt’altro che tranquillo.

In quel momento si udì Altarik gridare:

— Fuoco!

Un istante dopo una formidabile detonazione rintronava e la luce che entrava nella galleria scompariva di colpo.

I tre europei e l’arabo erano caduti l’uno sull’altro, mentre schegge di roccia si staccavano dall’alto con gran rumore.

— Cosa hanno fatto saltare? — chiese Ottone, balzando in piedi.

— Un pezzo di roccia — rispose l’arabo.

— E questa oscurità?

— Non avete capito il piano di quel cane d’Altarik? — disse l’inglese.

— Spiegatevi.

— È presto detto: ci hanno seppelliti vivi nella caverna.

— Seppelliti! — esclamarono Ottone e Matteo con terrore.

— Un’enorme roccia è stata fatta cadere dinanzi all’uscita della galleria.

— E siamo rinchiusi? — chiese Ottone.

— E nessuna forza umana ci trarrà di qui senza un aiuto che venga di fuori.

— Allora siamo condannati a morire di fame?

— Lo temo, signore, a meno che... non rinunciate al tesoro ed al vostro pallone.

— Pel tesoro sia, ma per il nostro Germania, no, mai! — gridò Ottone. — Se poi...

Una voce che pareva lontana, si fece udire in quel momento. Altarik parlava attraverso una piccolissima fessura lasciata dalla roccia.

— Che gli uomini bianchi muoiano di fame! — gridava il mi-