Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
il treno volante | 231 |
— Rimarrebbe il sultano.
— Quel poltrone non si metterebbe alla testa della colonna. Ha paura dei fucili.
— Io cerco Altarik senza riuscire a scoprirlo — disse l’arabo. — Si tiene ben nascosto.
— Non c’era fra gli assalitori? — chiese Matteo. — Ho veduto uno che gli rassomigliava.
— Era il suo luogotenente — rispose El-Kabir. — Se l’avessi veduto, a quest’ora non sarebbe ancora vivo.
— Cosa fanno quei bricconi? — chiese Ottone. — Non osano più avanzare.
— Si sono dedicati ad un lavoro misterioso -— disse l’inglese. — Non vedete tagliare degli alberi?
— Vedo cadere anche dei rami.
— Che abbiano intenzione di affumicarci? — chiese Matteo.
— Perderebbero inutilmente il loro tempo — disse l’inglese. — Abbiamo la caverna per ripararci.
— Attenti! — gridò El-Kabir. — Vengono.
— E noi siamo pronti a riceverli — rispose Ottone.
Gli zanzibaresi ed i negri erano usciti dal bosco, riparandosi ciascuno dietro un grosso fastello di rami.
Scaricarono le loro armi, poi si slanciarono verso il fortino, urlando ferocemente.
I tre europei e l’arabo riaprirono il fuoco, bruciando cartucce rapidamente.
Parecchi negri e qualche zanzibarese caddero, tuttavia gli altri non si arrestarono e giunsero in breve dietro la cinta gettando i fastelli sopra gli ammassi di spine.
Gli schiavi, spaventati, si erano rifugiati nella caverna, lasciando soli i tre europei e l’arabo.
— Stiamo per venir presi — disse l’inglese freddando con una fucilata uno zanzibarese che era già saltato sui fastelli.
— Nella caverna! — gridò Ottone.
I negri e gli zanzibaresi salivano da tutte le parti agitando le armi e urlando.