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il treno volante 225


— Trecento colpi sono bastanti per tenere indietro negri e arabi.

— All’avanguardia — disse Ottone — faremo miracoli.

Mentre i venti schiavi sotto la direzione dell’inglese rompevano rami spinosi e rotolavano macigni, i tre aeronauti scesero lungo il sentiero che serpeggiava sul fianco della collina e andarono ad appostarsi su di una rupe isolata, la quale dominava i boschi circostanti.

Essendo alta una ventina di metri, potevano di lassù osservare quanto succedeva in città.

La carovana era già entrata in Kilemba e nelle vie e sulla piazza del mercato si vedeva un’animazione straordinaria. Drappelli di negri armati di lance e di archi correvano in tutte le direzioni, mentre dei colpi di fucile rimbombavano verso il capannone del sultano.

— Si sta preparando qualche cosa contro di noi — disse Ottone. — Altarik avrà già persuaso il sultano a darci battaglia.

— E il nostro Germania? — chiese Matteo.

— Per ora non mi pare che sia stato toccato. Si libra sempre sulla piazza del mercato. Forse non si osa tirarlo a terra.

— Ed Heggia? — disse El-Kabir.

— Sarà già stato fatto prigioniero — disse Ottone.

— O che lo abbiano ucciso?

— Guai a loro! — gridò Ottone. — Lo vendicheremo e terribilmente.

— Vedo degli uomini che escono dalla città — disse Matteo.

— Mi pare che siano guidati dall’arabo.

— Sì, è lui — disse El-Kabir. — Se crede di portarci via il tesoro s’inganna assai. La mia prima palla sarà per lui.

— E anche la mia — disse Ottone.

Una colonna numerosa usciva allora dalla città dirigendosi verso la collina. Era composta di trecento negri, alcuni armati di fucili e altri di lance e di archi. La precedeva un drappello guidato dall’arabo e che componeva la scorta della carovana.