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caverna molto ampia, dalle arcate spaziose, coperta di stalattiti le quali si incrociavano bizzarramente.

In un angolo Ottone ed i suoi compagni videro subito scintillare un ammasso di polvere giallastra che aveva dei bagliori fulvi.

— Ecco il tesoro! — dichiarò l’inglese.

I tre aeronauti si erano precipitati innanzi, mandando un grido di gioia e di stupore.

Quell’ammasso era di polvere d’oro mescolata a pepite grosse come ceci.

L’inglese aveva detto il vero. Là ve n’era per lo meno una tonnellata e mezza.

— Oro, oro puro! — aveva esclamato Ottone, tuffandovi le mani. — Amico, qui vi sono dei milioni da raccogliere.

— Mi viene la voglia di buttarmi lì in mezzo e di seppellirmici dentro — disse Matteo. — Non ho mai veduto un tesoro uguale.

— Chi può aver radunato qui tutta questa polvere? — chiese Ottone, che stentava a mantenersi calmo dinanzi a tanta ricchezza.

— Pare che siano stati gli antichi abitanti di Kilemba — rispose l’inglese. — Mi hanno raccontato che molti anni or sono un sultano, che forse conosceva il valore dell’oro, aveva dato ordine di raccogliere tutta la polvere gialla che si trovava nel paese e di accumularla in questa caverna. Morto in guerra il sultano, il tesoro fu trascurato perchè ritenuto di nessun valore.

— Vi sono qui per lo meno venti milioni di franchi — disse Matteo.

— Che io cedo tutti a voi in ricompensa della mia liberazione.

— No, voi avrete la vostra parte — disse Ottone. — Solo a questa condizione noi lo accetteremo.

— Farete quello che vorrete — rispose l’inglese, sorridendo.

Chiamò gli schiavi e ordinò loro di caricare tutta la polvere che si trovava nella caverna, raccomandando di non disperderla. I negri avevano già riempiti dieci canestri, quando in lontananza si udirono rimbombare improvvisamente alcune scariche.