Pagina:Salgari - Il treno volante.djvu/225


il treno volante 219


— Che nessuno tocchi la bestia che ci ha condotti fino qui, se non vuoi assistere alla distruzione totale della tua tribù e anche della tua città.

— Ho troppa paura di essa per irritarla — disse il sultano. — Nessuno dei miei sudditi oserà toccarla.

— Partiamo — disse Ottone. — Heggia intanto rimarrà a guardia del treno volante.

Diedero all’inglese uno dei due fucili del negro, poi si misero in cammino attraversando la città.

La popolazione, vedendoli, si affollava sul loro passaggio gettandosi in ginocchio e coprendosi la testa di polvere.

Alcune guardie del sultano respingevano brutalmente uomini, donne e fanciulli, percuotendoli senza misericordia con le aste delle lance.

Usciti dalla città, l’inglese fece attraversare ai suoi salvatori dei campi coltivati a sorgo, poi si inoltrò in mezzo ad una fitta foresta, la quale copriva i fianchi di una collina che sorgeva isolata.

— Sta lassù il tesoro — disse l’inglese, mostrando la vetta.

L’ascensione non fu difficile, avendo essi trovato un sentiero che doveva essere stato, in altri tempi, frequentato dagli indigeni.

Giunti sulla cima, l’inglese si arrestò dinanzi ad una nera apertura, la quale pareva che mettesse in qualche caverna.

— È qui — disse l’inglese, facendosi dare da uno degli schiavi un ramo resinoso.

— Il tesoro? — chiese Ottone, il cui cuore palpitava.

— Sì.

— Che vi sia ancora?

— L’ho veduto quattro giorni or sono.

Prese la torcia e si inoltrò nell’oscuro passaggio, il quale formava una galleria molto bassa e molto stretta.

Ottone, Matteo e l’arabo l’avevano seguito assieme ai venti schiavi.

Dopo d’aver percorso duecento passi, l’inglese sboccò in una