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212 | emilio salgari |
— Se scendessimo?
— Dovreste aspettare molto prima che tornasse a galla.
— E poi vi sono dei negri che ci stanno guardando — disse Heggia.
Sulla riva, infatti, si erano radunati dodici o quindici negri e pareva che discutessero animatamente.
Il Germania, spinto da un vento piuttosto forte, li lasciò ben presto indietro, filando sopra dei boschi foltissimi.
Durante la notte il treno aereo continuò la sua corsa, guadagnando miglia su miglia e l’indomani giungeva in vista di un secondo fiume, il quale formava una lunga serie di laghetti di qualche miglio d’estensione.
Era il Liralabo, ragguardevole corso d’acqua che ha le sue sorgenti nel cuore del continente africano e che col Luvrea concorre a formare il Congo.
— Siamo vicini a Kilemba — disse El-Kabir rivolgendosi verso Ottone, il quale era intento a guardare gli ippopotami che popolavano il fiume.
— Quanto dista ancora?
— Una trentina di miglia.
— Allora giungeremo presto. Il Germania si avanza con una velocità di venti miglia all’ora.
— Che sia già arrivato Altarik? — chiese Matteo.
— Non lo credo — rispose El-Kabir. — Per quanto abbia affrettate le marce, non può essere giunto ancora qui. Forse si trova al di là del Luvrea.
— Quando giungerà troverà una bella sorpresa — disse Ottone, — Non si immaginerà certo di essere stato così ben giocato.
Il paese a poco a poco si popolava; si vedevano campi coltivati e molti aggruppamenti di capanne.
Gli abitanti, scorgendo il Germania, fuggivano in tutte le direzioni urlando. Perfino i buoi e le capre avevano paura e muggivano e belavano, correndo attraverso i campi coltivati.