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206 emilio salgari


Il Germania, sbarazzato dall’àncora, cominciò ad innalzarsi fra gli alberi, con un largo dondolìo, il quale aumentava di momento in momento.

Quando comparve sopra le piante, urla terribili scoppiarono verso il lago. Gli equipaggi dei cinque canotti l’avevano veduto e si erano alzati come un sol uomo, impugnando i fucili e tendendo gli archi.

— Scendete! Scendete! — gridavano con tono minaccioso.

— Impiccatevi! — gridò Ottone, puntando verso di loro il fucile che teneva in mano.

Alcuni colpi d’arma da fuoco rimbombarono e parecchie frecce, partirono sibilando. Era troppo tardi, perchè il Germania, scaricato di un macigno del peso di mezzo quintale, si alzava con velocità fulminea, allontanandosi verso l’ovest.

I canottieri, vedendolo fuggire, avevano deposto le armi per prendere le pagaie. Arrancavano furiosamente, facendo spruzzare alta l’acqua e si animavano a vicenda con grida acutissime.

Di quando in quando i capitani sparavano qualche colpo di fucile: polvere sprecata, essendo il Germania troppo alto.

Aveva già superato l’isola e correva verso la costa occidentale con la velocità di venti miglia all’ora, lasciandosi sempre più indietro le scialuppe dei negri.

— L’avevano proprio con noi — disse Ottone.

— Sì, cercavano di darci addosso — rispose El-Kabir. — Probabilmente ci avevano veduti scendere sull’isolotto e contavano di prenderci prima che noi spiccassimo il volo.

— Avranno da correre un bel pezzo.

— Sono già scoraggiati — disse Matteo, il quale stava osservando i canotti. — Uno è già tornato verso l’isola e gli altri non tarderanno a seguire il suo esempio.

— Mi stupisce come questi negri cerchino di catturare noi uomini bianchi. Speke, Grant, Burton e soprattutto Livingstone che hanno soggiornato non poco tempo su queste coste, hanno lasciato buone memorie degli uomini bianchi.

— È in questi dintorni che è morto Livingstone?