Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
192 | emilio salgari |
cupo delle foreste che si estendevano ad occidente di Mongo e scorsero indistintamente una grande quantità di punti luminosi e così piccoli da poterli scambiare per sciami di lucciole.
— Che cosa saranno? — domandò Ottone con inquietudine.
— Un accampamento, ne sono certo — rispose l’arabo.
— Di guerrieri negri?
— Sì, gli uomini di Nurambo vorranno sapere con quale bestia hanno da fare.
— Ci terremo alti, ecco tutto.
— Dietro quel primo campo ne troveremo degli altri — disse El-Kabir. — Le terre che ora attraverseremo sono soggette a quel famoso monarca.
— Sicchè noi troveremo dappertutto popolazioni ostili — disse Matteo. — Da quando eravamo sul fiume Wami, vi ricordate, da quando gli arabi e i negri attaccarono il Germania con un fuoco di fila, è un succedersi di attacchi da parte di questi selvaggi.
— La notizia della nostra comparsa o meglio della nostra macchina volante, a quest’ora si sarà sparsa dappertutto. Voi non potete immaginare con quale incredibile rapidità qui si propaghi una notizia.
— To’! Udite?
Fra il silenzio della notte s’udiva, in diverse direzioni, il rullare di quei grossi tamburi di legno, scavati nel tronco d’un albero, che sono usati dalle popolazioni dell’Africa centrale.
— Che ci abbiano scorti? — chiese Ottone.
— Sì, e ci segnalano dappertutto. Questi tamburi li udremo suonare un bel pezzo.
— E noi ci guarderemo dallo scendere.
— La nostra provvista di acqua è scarsa — disse il greco. — «Se il vento si mantiene debole saremo forzati a rinnovarla.
— Abbiamo la birra.
— Non basterà fino al nostro arrivo al lago.
— Cercheremo di scendere in qualche luogo deserto.
— Sì, se ne troveremo — concluse l’arabo.