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il treno volante | 191 |
pericolo, forse non minore dell’altro. Ora le nostre bestie potranno venire a pascolare liberamente sul margine della foresta.
— Torniamo — disse Ottone. — Ora che la nostra caccia è finita, non ci rimane che partire.
— Partite? — chiese lo sceicco con dolore.
— Non possiamo trattenerci più a lungo — disse Ottone. — Abbiamo già perduto troppo tempo.
— Io avrei voluto far svolgere una festa in vostro onore.
— Ce la darai al nostro ritorno.
— Ripasserete di qua?
— Te lo promettiamo.
Gettarono i due leoni uno a fianco dell’altro, essendo troppo pesanti per poterli portare, quindi lasciarono la foresta dirigendosi verso la città.
Vi giunsero verso l’una del mattino. Tutti gli abitanti dormivano; solamente alcuni guerrieri aspettavano il loro ritorno presso il tembè, come viene chiamata la capanna dello sceicco.
I due europei ed El-Kabir accettarono una cena offerta dall’arabo, e alcune armi del paese, due superbi denti d’elefante e alcune zucche piene di birra; poi ai primi albori salirono sul pallone, accompagnati da numerosi dignitari e da parecchi guerrieri.
Heggia aveva già accesi i motori e messe in moto le eliche.
Gli aeronauti fecero liberare l’àncora, salutarono lo sceicco ed i suoi dignitari con una scarica di fucili, poi s’innalzarono lentamente, passando sopra la città ancora addormentata.
— In viaggio per Tanganika — disse Ottone, allegramente.
— E apriamo bene gli occhi — disse El-Kabir.
— Perchè dite questo? Quali pericoli ci possono minacciare se Altarik è lontano?
— Non è l’arabo per ora che può insidiarci.
— E chi dunque?
— Credete proprio che i guerrieri di Nurambo si siano allontanati? Io ho i miei dubbi. Guardate verso l’ovest; non vedete nulla?
Ottone e Matteo guardarono nella direzione indicata tra il verde