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il treno volante 187


Il leopardo continuò a succhiare il sangue finche lo gnu cessò d’agitarsi, poi lo addentò per una zampa e lo trascinò attraverso la foresta come si fosse trattato d’un montone o d’un’antilope.

Durante quella lotta la capra che serviva d’esca era ammutolita, sfuggendo così ad una morte certa. Appena però vide allontanarsi la belva, riprese subito i suoi belati, più alti di prima.

— Povera bestia! — disse Ottone. — Devi aver passato un brutto momento!

— È stata una fortuna per essa che sia venuto lo gnu! Altrimenti la nostra capra non sarebbe viva a quest’ora.

— C’è un altro animale che si avanza verso lo stagno e non sappiamo se ce la risparmierà — disse in quel momento Matteo.

— Che sia uno dei due leoni? — domandò Ottone.

— Aspettiamo che esca dall’ombra per assicurarcene.

— Mi sembra che sia di forme colossali — disse Ottone. — Qualche elefante forse?

Frattanto l’animale usciva dall’ombra proiettata dagli alberi comparendo nello spiazzo illuminato dalla luna.

— Una giraffa! — esclamò Ottone.

Si trattava veramente di uno di quei bizzarri animali, i più strani della creazione, tutti collo e gambe.

Era d’altezza straordinaria, misurando con la testa non meno di cinque metri di altezza e tre e mezzo circa con la groppa.

S’avanzava con precauzione, curvando l’immenso collo e sferzandosi i fianchi con la coda. Certo sapeva che intorno a quello stagno solevano acquattarsi le bestie feroci; e perciò diffidava.

— Che bel colpo di fucile! — esclamò Ottone.

In quel momento a trenta o quaranta passi dallo stagno risonò, come un colpo di tuono, un ruggito così alto e spaventoso da far balzare i quattro cacciatori.

— Il leone! — esclamarono a un tempo.

La povera giraffa, udendo la voce del re delle foreste, si era cacciata prontamente in mezzo ad una folta macchia; era nondimeno così alta che la sua testa sporgeva dalle fronde.