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il treno volante 181


Calato il sole, i cacciatori fecero i loro preparativi per scovare i due formidabili carnivori.

Esaminarono le armi, cambiando le cartucce, mandarono a prendere nel pallone dei coltelli da caccia; poi, verso le otto di sera, lasciarono la città preceduti dallo sceicco, il quale si trascinava dietro una capra che doveva servire d’esca.

Il bosco che serviva di rifugio ai due leoni, si estendeva al sud della città, a circa quattro chilometri dalle ultime case.

Era vastissimo e formato da baobab immensi, da sicomori e da piante spinose, le quali rendevano l’accesso tutt’altro che facile.

Parecchi cacciatori, decisi a por fine alle imprese sanguinarie delle belve, avevano osato inoltrarsi in quelle cupe ombre. Nessuno era più tornato indietro ed i leoni avevano continuato a dare la caccia al bestiame ed ai pastori, sicuri ormai dell’impunità.

Quando i due europei ed i loro compagni giunsero sull’orlo della foresta, la luna stava per sorgere.

Sotto gli alberi l’oscurità era così profonda da non potersi quasi discernere un tronco dall’altro.

— Conosci il luogo dove i leoni sogliono nascondersi? — domandò Ottone allo sceicco.

— Sì — rispose questi. — Si tengono per lo più imboscati presso una fonte dove accorre ad abbeverarsi tutta la selvaggina della foresta.

— Dove si trova?

— A tre o quattrocento passi da qui, presso una macchia di camerope.

— Che ci siano già i leoni? — chiese Matteo.

— Non si odono i loro ruggiti che sul tardi, verso la mezzanotte.

— Andiamo — disse Ottone levandosi dalla spalla il fucile.

— E siccome non siamo certi se i leoni si siano già imboscati, apriamo bene gli occhi.

— Io e lo sceicco guardiamo a destra — disse Matteo.

— Ed io ed El-Kabir guarderemo a sinistra — disse Ottone.