Pagina:Salgari - Il treno volante.djvu/158

156 emilio salgari


Il loro fuoco nondimeno non cessava e più di una palla si era schiacciata presso i difensori del piccolo ridotto.

Intanto il pallone, dopo essersi librato alcuni minuti sopra la stazione araba, aveva virato debordo attraversando il fiume. Stava per risalire verso il nord o gli uomini che lo montavano avevano udite le detonazioni?

— Riondo — disse Ottone, il quale temeva che il treno aereo si allontanasse, — bisogna fare qualche segnale.

— Vi sono degli sterpi secchi sulla china della rupe — rispose il negro.

— E cosa vuoi fare?

— Incendiarli, signore.

— Spicciati, amico.

Il negro prese alcuni zolfanelli datigli dal tedesco, diede fuoco ad un ammasso di foglie che si trovava dinanzi alla cinta, poi col calcio del fucile lo fece cadere in mezzo agli sterpi. Un momento dopo una nuvola di fumo si innalzava presso la cinta avvolgendo il ridotto.

Gli sterpi crepitavano e fiammeggiavano rapidamente, mandando molto fumo e anche molto calore. I due assediati avevano dovuto ritirarsi dall’altra parte della cinta per non finire arrostiti.

Gli arabi, sospettando la cagione per cui era stato acceso il fuoco, avevano raddoppiate le scariche; poi erano balzati fuori dai loro nascondigli.

Essi si avanzavano protetti dal fumo che li nascondeva.

Il negro si era accorto del loro avanzarsi.

— Padrone — disse, — si avvicinano.

Il tedesco non lo capì. Con gli occhi volti in alto, seguiva attentamente le evoluzioni del Germania. Questo aveva lasciato il fiume e si dirigeva ora verso il monticello.

Il greco ed i suoi compagni dovevano avere scorta quella nuvola di fumo e fors’anche udite le scariche incessanti degli arabi.

— Padrone, vengono — ripetè Riondo.

— I nemici? — chiese Ottone.