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152 | emilio salgari |
— Nessuno si avvicinerà a te.
Il tedesco salì sul muricciuolo e si mise in sentinella, sorvegliando i dintorni mentre il negro, presa la scure, si lasciò scivolare lungo la roccia approfittando di una spaccatura molto profonda e giunse facilmente alla base.
Si chinò subito a terra e cominciò a strisciare in direzione del morto, celandosi dietro tutti i macchioni che incontrava.
Le sue mosse serpentine rendevano vana una mira da parte degli arabi.
In dieci minuti attraversò la spianata e giunse presso il cespuglio.
Sokol era disteso sul fianco destro, con la testa fracassata e le mani raggrinzite che avvinghiavano ancora le erbe circostanti.
Il negro gli slacciò la cartucciera e prese il fucile che si trovava a due passi dal morto. Stava per ritornare, quando udì il tedesco che gli gridava:
— Non muoverti! Vedo una canna di fucile drizzata su te.
Il negro si lasciò cadere al suolo nascondendosi dietro il cadavere e puntò l’arma, la quale era ancora carica.
Un momento dopo due colpi di fucile rimbombarono e due palle passarono fischiando sopra di lui.
Ottone aveva subito risposto, facendo fuoco là dove sospettava che si nascondessero gli arabi. Ma anche la sua palla dovette andar perduta perchè non fu udito alcun grido.
Il negro avrebbe desiderato tirar anche lui qualche colpo sugli assalitori, ma, non conoscendo il meccanismo del fucile, dovette rinunciarvi per tema di guastarlo. Nondimeno non poteva rimanere parecchie ore in quel luogo, esposto ai tiri degli arabi. Un proiettile poteva colpirlo.
Ma ecco che tosto gli balenò un’idea.
Prese il morto, se lo caricò sulle spalle in modo che gli servisse da scudo e si diresse rapidamente verso la roccia, gridando a Ottone di continuare il fuoco.
Gli arabi, che dovevano essere nascosti a non molta distanza, salutarono la sua partenza con altri due colpi di fucile.