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148 | emilio salgari |
— Non ne dubito — rispose il negro, il quale era diventato molto preoccupato.
— Se li vedo, il primo colpo sarà per Sokol — disse Ottone.
— Chi è questo Sokol?
— Il negro che mi ha tradito.
— Farete bene a non risparmiarlo, signore.
— Taci.
— Cosa avete udito?
— Delle grida.
— Avranno scoperto le nostre orme.
— Vedi muoversi i cespugli alla base della collina?
— Sì, signore.
— Avanzano in fretta. È carico il fucile?
— Sì.
— Quante cartucce hai?
— Centoquaranta.
— Bastano per mettere tutti quei bricconi fuori di combattimento. Dammi il fucile e lascia fare a me.
Ottone si nascose dietro la piccola cinta, guardando attraverso un foro che aveva appositamente lasciato fra i massi.
Gli arabi avanzavano seguendo le tracce lasciate dal tedesco.
Essendo il suolo della foresta umido, le impronte degli stivali dovevano essere rimaste visibili.
Di quando in quando si vedevano le cime dei cespugli agitarsi.
I negri della stazione si aprivano faticosamente il passo attraverso le piante.
Ottone, sdraiato al suolo, col fucile puntato, aspettava. Presso di lui stava il negro tenendo in mano le cartucce.
Passarono parecchi minuti, poi un folto cespuglio che si trovava a quaranta passi dalla rupe si aperse lentamente ed un negro comparve.
Quell’uomo era Sokol. Il traditore teneva in mano il fucile del tedesco e si preparava a servirsene contro il suo proprietario.
— Birbante! — mormorò Ottone.