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142 | emilio salgari |
Cominciava ad albeggiare quando finalmente giunsero sulla cima. Questa era sgombra di piante e terminava in una roccia isolata, una rupe in forma di piramide di non difficile accesso.
Il tedesco ed il negro la scalarono aiutandosi reciprocamente e raggiunsero la cima.
Di lassù si dominava un vasto tratto di paese tutto ingombro di boscaglie foltissime e di piccole pianure coperte da erbe alte perfino tre metri.
A cinque o sei miglia si scorgeva il fiume e sulla riva opposta si vedevano le capanne e le tettoie della stazione araba.
Appena dato uno sguardo al paese. Ottone ed il negro alzarono gli occhi, sperando di distinguere in qualche luogo il treno volante. Essendo il cielo purissimo ed illuminato dai primi raggi del sole, un punto oscuro, per quanto piccolo, dovevasi scorgere facilmente in mezzo all’azzurra trasparenza dell’atmosfera.
— Non si vede nulla — disse Ottone, con inquietudine. — Eppure Matteo ha imparato a manovrare il Germania e sa a quale uso sono destinate le eliche e le valvole dei palloni. Che sia disceso molto lontano da qui?
— Cosa pensate dei vostri compagni? — chiese il negro.
— Non dubito del loro ritorno — rispose Ottone. — Il vento li avrà forse spinti assai lungi da qui; però sono sicurissimo di rivederli comparire fra non molto.
— Che siano stati presi dagli arabi?
— No, perchè quando io diedi l'allarme, vidi che il pallone si innalzava rapidissimamente.
— Cosa farete?
— Io sarei di opinione di accamparci su questa collina, potendo da qui abbracciare un immenso orizzonte.
— Se tale è la vostra idea, fermiamoci qui — rispose il negro.
— Se dopo il mezzodì non vedremo comparire il vostro pallone, costruirò una piccola capanna onde abbiate un riparo. Avete fame, signore?
— L’appetito non mi fa difetto.
Il negro si levò di dosso un grosso involto di foglie che aveva