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134 | emilio salgari |
Sokol, non mi tieni ancora, e me ne andrò a dispetto delle due sentinelle che vegliano fuori.
La canape a poco a poco si allentava, segata dal margine metallico.
Le fibre cedevano ad una ad una spezzandosi.
Non era trascorso un quarto d’ora che la corda cadeva, lasciando libere le mani del prigioniero.
Ottone trattenne a malapena un grido di gioia, sentendosi finalmente libero.
— Ora innalzeremo la barricata — si disse.
Si accostò prima alla porta e guardò attraverso le fessure. Non essendo la luna ancora tramontata, potè vedere le due sentinelle.
Chiacchieravano a pochi passi dalla capanna, appoggiate ai fucili.
— Non si occupano di me — si disse. — Si ritengono sicure che io non tenterò di evadere.
Il tedesco era robusto e possedeva dei muscoli di acciaio. Senza far rumore rotolò alcune balle di mercanzia in mezzo alla capanna, proprio sotto al foro che serviva da finestra e vi sovrappose delle casse e dei barili formando una specie di piramide.
Quando vide che era sufficientemente alta, rapidamente salì e si aggrappò con ambe le mani alla finestra, issandosi a forza di braccia.
Il foro, però, era stretto, essendo il tetto formato di foglie intrecciate; pure il tedesco, dopo alcuni sforzi, riuscì ad allargarlo tanto da poter passare.
Con un’ultima spinta ritirò le gambe e si trovò sul tetto.
— Il più è fatto — mormorò.
Si coricò bocconi per non venire scorto dalle sentinelle e si guardò intorno.
La capanna era addossata ad una vasta tettoia la quale si prolungava fin sulla riva del fiume. Essendo i tetti quasi al medesimo livello, Ottone poteva senza difficoltà passare dall’uno all’altro.
— Se nessuno mi vede, Sokol è ben giocato — disse.
Strisciò fino all’orlo e guardò nel cortile. Non vi erano che le due sentinelle, le quali continuavano a chiacchierare dinanzi alla