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il treno volante 133

dere? Canaglia di Sokol! Chi avrebbe supposto in lui un traditore? Dannato elefante! L’ho pagato ben caro!

Si guardò intorno. Un raggio di luna, che entrava da una piccola finestra aperta in mezzo al tetto, illuminava l’interno della capanna, permettendogli di misurarne l’ampiezza e anche l’altezza.

Quella costruzione era molto vasta, e, come tutte le capanne negre, non era molto alta. Nel centro non doveva misurare più di quattro metri.

— Se tentassi la fuga? — si chiese. — Non devono essere rimasti molti negri qui, se gli altri si sono scaglionati lungo le rive del fiume con la speranza di attendere il ritorno del Germania. Fuggire? E dopo? Come ritrovare i miei compagni? Riuscirà Matteo a ricondurre qui il treno aereo? Il pallone deve essere salito subito molto in alto e può aver incontrata una forte corrente d’aria. Comunque sia, cerchiamo di prendere il largo.

L’arabo, ritenendosi sicurissimo che il tedesco nulla avrebbe tentato, non gli aveva legato che le mani, lasciandogli libere le gambe.

Ottone ne approfittò per rimettersi in piedi e fare il giro della prigione.

Come si disse, la capanna conteneva molte casse, balle di mercanzia e barili. Il tedesco vide subito quale partito avrebbe potuto ricavare da quell’ammasso di colli.

— Se posso liberarmi le mani, innalzerò una barricata fino alla finestra. Con un po’ di pazienza riuscirò a passare da quel foro.

Con qualche sforzo potè accostare le mani all’orlo di un barile cerchiato di ferro e si mise a strofinare vigorosamente la corda che lo avvinceva. Il margine era assai tagliente, quindi non disperò di poter, con la pazienza, riuscire nel suo intento.

L’impresa era tutt’altro che facile; pure, dopo alcuni minuti, il tedesco s’accorse che la corda cominciava a sfilacciarsi contro il cerchio di metallo.

— Fra una mezz’ora sarà libero — mormorò. — Mio caro