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il treno volante 129


— Matteo! — gridò Ottone. — Ho ucciso l’elefante!

— È morto?

— Sì, è spirato.

— Guardati! Le femmine tornano. Non farti sorprendere.

Il tedesco, incoraggiato da quel primo successo, stava per tornare verso il fiume, quando si vide piombare addosso otto o dieci negri, i quali gli si erano avvicinati senza rumore, tenendosi nascosti fra le erbe altissime che circondavano il nopale.

L’attacco fu così improvviso che Ottone non ebbe il tempo di opporre la menoma resistenza, nè di far uso del fucile.

Prima però che lo imbavagliassero, riuscì a mandare un grido di allarme:

— Matteo! I negri mi hanno preso! Taglia la corda!

Non potè dire di più. Fu imbavagliato, legato, condotto via con rapidità incredibile; quindi gettato in una scialuppa che si trovava tra le canne del fiume.

Due negri armati di fucile gli si posero ai fianchi. Gli altri invece, guidati da Sokol, il quale si era tenuto prudentemente da parte per non farsi scorgere dal tedesco, tornarono prontamente indietro per sorprendere il treno aereo.

Il greco e l’arabo, aiutati da Heggia, avevano innanzi tutto ritirata la scala, poi si erano disposti intorno alla piattaforma, guardando ansiosamente attraverso il fogliame del baobab.

Alcune ombre accorrevano lungo la riva del fiume.

— I negri! — gridò El-Kabir. — Tagliamo la corda dell’àncora!

— E Ottone? — chiese il greco con angoscia.

— Non indugiamo, Matteo. Essi sono armati di fucile e possono guastarci i palloni.

Difatti un colpo dì fucile in quel momento partì dalla riva e la palla fischiò agli orecchi del greco.

Heggia con un colpo di coltello tagliò la fune dell’àncora e il Germania, alleggerito del peso di due persone, s’alzò rapidamente, con un salto immenso, scomparendo agli sguardi dei negri.