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il treno volante 124


— Io ve li spingo contro.

— Avrei preferito cacciarli presso la riva.

— Fra questi tronchi non correte pericolo alcuno.

— Sarà lunga la tua assenza?

— Fra un quarto d’ora gli elefanti passeranno a tiro.

— Bada di non farti schiacciare.

— Non temete per me — rispose il negro.

Si allontanò correndo; però invece di dirigersi verso il fiume dove si trovavano gli elefanti, si diresse verso il nord.

Dieci minuti dopo si fermava dinanzi ad una palizzata nascosta da un immenso baobab.

— Non m’ero ingannato — disse. — Ora il tedesco è mio.

Superò rapidamente la cinta e si trovò dinanzi ad un gruppo di capanne, che gli alberi fittissimi avevano nascosto agli aeronauti.

— È ben questa la stazione di Altarik — disse con un sorriso di soddisfazione.

Si cacciò sotto uno di quei capannoni che era pieno di balle di mercanzia e di casse d’ogni dimensione e mandò un fischio.

Un momento dopo due negri, guidati da un arabo armato di fucile, comparvero.

Vedendo Sokol, l’arabo puntò l’arma verso di lui, dicendogli:

— Cosa vuoi tu? E chi sei?

— Un uomo di Altarik — rispose Sokol. — Io guido la spedizione di El-Kabir.

L’arabo fece un gesto di stupore.

— El-Kabir è già qui? — esclamò.

— A pochi passi da noi.

— È impossibile!

— Siamo giunti con un pallone.

— Non so cosa sia.

— Lo vedrai dopo.

— E cosa vuoi?

— Darti in mano il capo della spedizione.