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8 | emilio salgari |
— E benemeriti della scienza, Ottone, giacchè il nostro viaggio non sarà puramente di piacere.
— Silenzio, entriamo in porto.
— E che nessuno conosca il nostro segreto — disse il greco.
La nave entrava nella vasta baia di Zanzibar, fischiando sonoramente; salutò il forte con una cannonata e andò a gettare l’àncora in mezzo a parecchie navi di varie nazionalità, e tra una folla di barche arabe e zanzibaresi legate alla riva.
Alcuni negri di statura atletica e molto turbolenti, su numerose barchette e parecchie zattere, si erano affrettati a circondare il piccolo vapore, offrendosi di trasportare a terra i passeggeri ed i loro bagagli.
Andavano a gara per accostarsi alla scaletta, di già abbassata, disputandosi accanitamente il posto e scambiandosi pugni e scappellotti in così grande abbondanza da far ridere il greco.
— Possiamo scendere a terra? — domandò il tedesco.
— Abbiamo libera pratica — rispose Matteo. — Qui non sono così fiscali come i capitani dei porti europei.
— Hai avvertito il capitano di far portare a terra le nostre casse?
— Questa sera saranno nella mia casetta di campagna.
— Si trova in un luogo isolato?
— Sì, Ottone — rispose il greco. — Tu potrai gonfiare tranquillamente il tuo dirigibile, senza che nessuno ci disturbi.
— Allora scendiamo.
Strinsero la mano ad alcuni passeggeri che si trovavano presso di loro e scesero in una barca guidata da un negro di statura colossale, il quale era riuscito, a furia di pugni, a conquistare il primo posto sotto la scala.
— Conosci l’arabo El-Kabir? — gli chiese il greco, il quale parlava correttamente lo zanzibarese oltre parecchi dialetti africani.
— Tiene il suo fondaco presso la punta di Kamiki, dietro il serraglio del Sultano.
— Conducimi da lui.
Il negro raccolse i remi, s’aprì il passo fra le numerose barche