Pagina:Salgari - Il treno volante.djvu/119


il treno volante 115


— Devono essere tanto occupate a tracannare le nostre bottiglie, da non fare attenzione alla scala.

— Vorresti salire? — chiese Matteo.

— Almeno vorrei provare.

— Un’impresa troppo pericolosa — disse Ottone. — Sono capaci di gettarvi addosso qualche cosa e farvi stramazzare da cinquanta metri d’altezza. Siccome io non ho alcun desiderio di fiaccarmi il collo, per conto mio rinuncio all’impresa.

— Eppure voglio provare — disse l’arabo. — Vedremo che cosa faranno gli scimpanzè.

El-Kabir impugnò una rivoltella che teneva nella cintura e cominciò a salire, mentre Matteo e Ottone prendevano i fucili per soccorrerlo con qualche buona scarica.

Appena la scala cominciò ad agitarsi, i tre scimpanzè si misero a urlare ed a ruggire spaventosamente.

Si vedevano balzare sulla piattaforma come indemoniati, curvandosi sul parapetto a mostrare il pugno all’imprudente che osava salire.

Ottone aveva puntato più volte il fucile per mandare una palla nel cranio di quei dannati quadrumani; ma il timore di guastare i palloni lo tratteneva, poichè il proiettile poteva attraversare qualche areostato e lacerarlo.

L’arabo si era intanto innalzato di una decina di metri, quando una bottiglia vuota gli cadde fra le spalle.

— Scendi, scendi! — gridarono i due europei.

— Presto, padrone! — gridò Heggia. — Si preparano a bomdardarvi!

Le scimmie, vedendo che l’audace arabo continuava a salire, cominciarono a scagliargli addosso le casseruole, le graticole, i guanciali e poi i materassi.

El-Kabir, spaventato, si era lasciato scivolare lungo le corde, allontanandosi precipitosamente.

Aveva appena raggiunto i compagni, quando un barile pieno di biscotti cadde dall’alto, fracassandosi contro il suolo.

— Quelle bestie ci rovinano! — gridò Matteo.