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il treno volante 112


Tra quei rami svolazzavano numerosi uccelli dalle penne variopinte.

Vi erano ibis porporate, gru turchine, fiammanti rossi, aironi dalle penne nivee, bei campioni di meropi dalle ali di smeraldo orlate di zaffiro, e pappagalli verdi e rossi, i quali garrivano noiosamente con una insistenza tale da far rintronare il cervello.

— Possiamo fermarci senza timore — disse Ottone. — Queste rive sono disabitate.

— Sembra anche a me — disse l’arabo.

Fecero ritorno all’accampamento, giungendovi nel momento in cui i due negri stavano deponendo l’arrosto su una foglia di banano.

— Che profumo! — esclamò Ottone, il quale aspirava avidamente l’odore appetitoso dell’arrosto. — Queste sono colazioni indimenticabili.

Terminato il pasto, bianchi e negri si stesero tra le erbe e rassicurati dal silenzio che regnava intorno, rotto solamente dai cicalecci dei pappagalli, si addormentarono placidamente sotto la fresca ombra del colossale tamarindo.

Dormivano da un paio d’ore quando furono svegliati da alcuni ruggiti un po’ diversi da quelli che mandano i leoni.

I cinque aeronauti erano balzati in piedi, afferrando le armi. Grida di rabbia e di spavento sfuggirono all’arabo e ai due negri.

Una banda composta di otto scimmioni, alti più di un metro e di aspetto feroce, aveva circondata la scala che pendeva dalla piattaforma.

Erano tutti tarchiati, con membra muscolose, spalle larghissime, con la testa grossa, le guance rugose, d’una tinta carnicina, ed il corpo coperto di un pelame lungo e rossastro.

I due negri e l’arabo li avevano subito riconosciuti. Erano degli scimpanzè, scimmie dotate di una forza straordinaria e che non indietreggiano dinanzi ai cacciatori. Tre scimpanzè avevano già dato l’assalto alla scala e salivano rapidamente verso la piat-