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il treno volante 109

potamo e s’aprivano contemporaneamente, mostrando delle mascelle smisurate armate di denti acutissimi.

— I coccodrilli! — esclamarono Matteo e Ottone, rabbrividendo.

— E per poco vi tagliavano le gambe — disse Sokol. — Cercavano di avvicinarsi di soppiatto.

— Cosa vengono a cercare qui? — chiese il tedesco.

— Reclamano la loro parte d’ippopotamo — disse il negro.

— Non lasciateli accostare, perchè sono ferocissimi.

— Guardatevi dai coccodrilli! — gridò in quel momento l’arabo, che li aveva scorti.

— Non lasceremo l’isolotto — soggiunse Matteo.

— Non potete raggiungere la scala?

— È troppo lontana.

— Cosa posso fare? Se tagliassi la corda dell’àncora e cercassi d’avvicinarmi?

— Non fatelo! — gridò Ottone. — Il pallone s’innalzerebbe di colpo e chissà dove il vento lo spingerebbe!

— Non posso fare proprio nulla?

— Per il momento nulla.

I due coccodrilli non avevano osato ancora accostarsi. Guardavano, con i loro brutti occhietti dalla fiamma giallastra, quel gruppo di uomini, agitando le loro lunghe mascelle e facendo stridere i denti acutissimi e triangolari.

Certo li pungeva anche la voglia di assaggiare la carne umana; però un resto di paura li tratteneva. L’attitudine risoluta dei tre aeronauti ed il brillìo delle loro armi dovevano aver prodotto un certo effetto anche su quei sauriani.

— Sembriamo gladiatori, che si misurano con lo sguardo prima di cominciare la lotta — disse Matteo.

— Mi pare che ci siamo guardati abbastanza e che sia venuto il momento di cominciare a batterci — disse Ottone. — Io miro il coccodrillo di destra e tu quello di sinistra.

— Spara nelle loro gole. Quegli animali sono corazzati.

— Lo so, Matteo.