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IX

L’assalto degli scimpanzè

Il bestione era proprio morto.

Sette palle non avevano prodotto che delle ferite insignificanti, essendo state arrestate dall’enorme strato di grasso che avvolge sempre quei corpacci; altre due invece gli erano entrate nell’orbita destra, ledendogli il cervello.

I due cacciatori, scesi sul banco, erano rimasti stupiti nel vedere quell’enorme massa di carne, bastevole a nutrire più di trecento uomini. Vi giravano intorno, guardando con meraviglia i lunghi denti (di cui uno si era spezzato in seguito alla caduta) e la bocca enorme che poteva contenere un uomo piegato in due.

— Che cosa ne faremo di tanta carne? — si domandò il greco. — È un vero peccato lasciarla qui ad imputridire.

— Mi hanno detto che è molto buona — disse il tedesco.

— Quanto quella del bue più grasso — rispose il greco. — Ha anche un po’ il sapore di quella dei maiali.

— Ne faremo una scorpacciata.

— E ne porteremo anche con noi per la colazione di domani.

— Sokol, all’opera.

Il negro, invece di obbedire, guardava l’acqua senza pensare a far uso della scure.

— Cosa cerchi? — domandò l’arabo.

— Fuggite! — gridò Sokol slanciandosi verso l’isolotto.

I due europei, senza sapere di che cosa si trattasse, l’avevano seguito, mancando a loro il tempo di attaccarsi alla scala di corda che si trovava dall’altra parte dell’ippopotamo.

Un momento dopo due musi lunghi, appuntiti, d’un colore verdastro‐scuro, emergevano dall’acqua in vicinanza dell’ippo-