Pagina:Salgari - Il treno volante.djvu/103


il treno volante 103


— Troveremo qualche fiume? — chiese Matteo.

— Sì, un affluente del Wami, molto largo e con le rive boscose — disse El-Kabir.

— Sarà ancora molto lontano? — chiese Ottone.

— Con quale velocità avanziamo?

— Venticinque miglia all’ora.

— Fra tre o quattro ore vi giungeremo.

— E troveremo molti animali?

— Soprattutto elefanti e giraffe.

— Degli elefanti! — esclamò Ottone. — Il mio sogno!

— Ne uccideremo qualcuno, ve lo prometto.

— Andiamo a cercare questo affluente del Wami.

Il vento, che si manteneva forte all’altezza di trecento metri, spingeva velocemente il dirigibile.

Qualche gruppo di capanne cominciava ad apparire in mezzo alle folte foreste che erano succedute alle praterie lussureggianti.

Anche una grossa borgata apparve, due ore prima del tramonto, verso il sud. Era Kondu, uno dei centri più popolosi dell’Usagara, dove si fa ancora un vivo commercio di schiavi, quantunque non si possano più condurre a Zanzibar, come si faceva ancora alcuni anni or sono nonostante l’attiva sorveglianza delle navi da guerra inglesi.

Verso le sette il paese aveva ripreso l’aspetto selvaggio. Si alternavano pianure coperte da erbe altissime e boschi di miombo e di sicomori giganteschi.

Ottone, che osservava attentamente l’orizzonte, mezz’ora più tardi segnalava un largo fiume, il quale scendeva dal nord scorrendo con larghi serpeggiamenti, verso il sud est.

— È quello che cerchiamo? — chiese all’arabo.

— Sì — rispose questi. — Abbassiamoci e gettiamo l’àncora sulle rive.

Alberi giganteschi e baobab si levavano sulle rive di quel corso d’acqua, formando da soli delle piccole foreste, rifugi certi di numerosa selvaggina.

Ottone, che era impaziente di prendere il fucile e di slanciarsi