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questa volta pareva non dovesse più arrestarsi. Il mastro, Cardozo e perfino l’impassibile signor Calderon, cominciavano a diventare inquieti.
— Ci accopperemo, — disse il ragazzo, che non si sentiva più in vena di scherzare.
— O meglio, ci schiacceremo contro terra, — aggiunse l’agente del Governo. — Non v’è nulla da gettare?
— Cinque biscotti, le nostre armi e le munizioni, — rispose il mastro.
— Non saranno sufficienti ad arrestare la caduta.
— E poi dalle armi non mi separerei a nessun patto, signore. Toh! Un’idea!
— Buttala fuori, marinajo, — disse Cardozo. — Sbrigati, chè la prateria si avvicina con rapidità spaventevole.
— Arrampichiamoci fino alla rete. Quando toccheremo terra, si schiaccerà prima il pallone, poi ci lasceremo cadere in mezzo all’erba, che è alta assai e molto fitta.
— Purchè l’aerostato non si squilibri e non si rovesci.
— Non temere, ragazzo. Ci disporremo in modo da mantenerlo in equilibrio.
— Alla rete allora, e Dio ci protegga!
Abbandonarono precipitosamente il cerchio, si aggrapparono alle funi e si arrampicarono fino alla rete, che copriva una buona metà dell’aerostato.
— Ci siete? — chiese il mastro, che non poteva più scorgere i compagni, che stavano dall’altra parte.
— Sì, — risposero ad una voce l’agente del Governo ed il ragazzo.
— Tenetevi pronti a lasciarvi andare al mio comando, o il pallone trascinerà in aria qualcuno di noi.
— Saremo pronti, — rispose Cardozo.
Il pallone scendeva sempre senza rallentare, come se avesse fretta di riposarsi su quella verdeggiante prateria. Pareva che una grande colonna di aria lo cacciasse verso terra e che un’altra sotto di lui lo aspirasse. La distanza spariva con fantastica rapidità. Non era più che a cento metri e precipitava con l’eguale velocità.