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X.
La scomparsa dell’agente del Governo.
rano le quattro pomeridiane.
L’aerostato, dopo aver percorso circa un centinaio di miglia nello spazio di quattro ore, tornava a ridiscendere, e questa volta, come aveva giustamente detto il mastro, per non più rialzarsi, perchè più nulla vi era da gettare dacchè la navicella era stata precipitata nella prateria.
Mezzo vuoto, tutto pieghe, non si trascinava innanzi che a furia di sforzi, più spinto dal vento che sorretto dal gas, ormai ridotto a una quantità molto piccola. Discendeva però gradatamente, metro a metro, tentando talvolta di rialzarsi, ma per poi ricadere più bruscamente.
Fra un quarto d’ora, forse mezz’ora, tutto doveva essere finito.
— Orsù, non disperiamoci, — disse Cardozo. — Ha durato anche troppo questo povero pallone, e ciò doveva accadere; nessuno di noi lo ignorava.
— Ah! — esclamò il mastro. — Se si trovasse qualche cosa da rinforzarlo.
— Non vedo nessun gasometro per quanto giri gli sguardi. Prepariamo le gambe, marinajo, e carichiamo i fucili, onde non cadere inermi in qualche imboscata. Vedi nulla?
— La prateria mi sembra deserta, per buona fortuna.
— V’ingannate, — disse l’agente del Governo.
— Cosa vedete? Degli indiani forse?