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— Non temete, — rispose l’agente.
— E tu, Cardozo, — continuò il mastro, aprendo il suo coltello di manovra, — prendi le carabine e queste munizioni e raggiungi il signor Calderon, mentre io mi occupo a tagliare le corde. Se gli indiani si avvicinano troppo, manda a loro un paio di buone pillole.
— Li guarirò per sempre, marinajo: te lo assicuro io, — rispose il ragazzo.
S’aggrappò alle corde e raggiunse il cerchio di legno, sul quale s’era già installato l’agente del Governo.
Gl’Indiani, immaginandosi senza dubbio che si stava per giuocarli raddoppiarono le loro urla e spronarono furiosamente i loro cavalli.
D’improvviso qualche cosa di lucente attraversò l’aria fischiando e passò per le funi della navicella, cadendo dall’altra parte nella sottostante prateria.
— Una bola! — esclamò Cardozo.
— E di ferro, — rispose il mastro, che, tenendosi con una mano aggrappato al cerchio, coll’altra, armata del coltello, recideva rapidamente le corde.
Un’altra palla, lanciata dal capo, che precedeva i guerrieri, frantumò con impeto irresistibile l’estremità della navicella, a pochi pollici dal mastro.
— Carrai! — esclamò questi. — Un po’ più innanzi e la mia testa scoppiava come una zucca.
— Ma scoppierà la zucca del capo! — esclamò una voce accanto a lui. — Sta’ attento, marinajo!- Cardozo, poiché era lui che così aveva parlato, appoggiatosi alle corde e stringendo fra le gambe il cerchio, mirava freddamente l’indiano.
S’udì una detonazione, seguìta da un urlo di dolore. Il capo indiano, colpito in mezzo alla fronte dalla palla del bravo ragazzo, cadde sconciamente d’arcione, stramazzando a terra.
Gli indiani mandarono urla di furore e si slanciarono innanzi, spronando a sangue le loro cavalcature. Sei o sette bolas fischiarono attorno agli aeronauti, perdendosi in di-