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loro visi in tutti i sensi, a linee e a punti, a disegni gli uni più strani degli altri.

I loro costumi pittoreschi si adattavano bene a quei fieri tipi di banditi. Anelli d’argento e collane di egual metallo ornavano i loro orecchi e il collo, producendo un tintinnìo grazioso; splendidi ponchos dai vivaci colori, somiglianti a pianete, coprivano i loro corpi, lasciando però vedere le larghe cinture adorne di perle e di pendoli d’argento, detti quiripiquè, nelle cui pieghe brillavano lunghi coltelli; e portavano i lunghi stivali di pelle di guanaco o di cavallo giovane, armati di speroni colossali.

Giunti a portata, i guerrieri ripresero le loro vociferazioni, agitando le lunghe lance adorne di piume e facendo ondeggiare le loro bolas, colle quali si servono per ispaccare la testa ai nemici.

Ad un tratto un cavaliere, che sembrava un capo, a giudicarlo dalla ricchezza delle vesti, di statura più elevata degli altri, dal viso orribilmente imbrattato di colori, si slanciò a tutta carriera verso il pallone, e, giuntovi quasi sotto, pronunciò alcune parole.

— Cosa desidera quel pagano? — chiese Cardozo, che per ogni precauzione aveva armato una carabina, pronto a servirsene.

— Ci invita semplicemente a discendere, — disse il mastro.

— È un po’ esigente quel signore dal muso dipinto.

— Minaccia di farci passare per le armi, se ci rifiutiamo.

— Gli dirai che, non potendo per ora farlo, lo si prega di salire da noi, se è capace. Che ne dite, signor Calderon?

— Non trovo risposta migliore, — rispose l’agente.

— Ma non pensate, signore, che fra poco noi toccheremo terra? — chiese il mastro. — Si potrebbe cercare d’intenderci con queste canaglie, quantunque non ci sia da sperar molto, nè da fidarsi.

— Provatevi, — rispose l’agente.

Il mastro tentò di parlamentare; ma dopo poche parole comprese che non c’era da sperare da quei banditi. Il capo