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Nel loro seno le folgori s’incrociavano in tutti i versi, producendo scariche formidabili, che assordavano i due marinai, ma che parevano non essere abbastanza forti pel flemmatico e taciturno agente, che continuava tranquillamente a dormire, come se si trovasse in una comoda stanza.

Alle 11,15 il pallone, che si era bruscamente innalzato, precipitò fra la massa dei vapori. Non vi era un momento da perdere, se non volevano correre il pericolo di venire fulminati.

Il mastro afferrò il barilotto contenente una ventina di litri di wisky e lo gettò al di fuori. L’aerostato s’elevò rapidamente fino a cinquemila metri, vi si mantenne per due ore, ma poi tornò lentamente a ricadere.

Alle due del mattino, il mastro, che guardava con inquietudine sotto di sè, non vide più le nubi. Solamente verso l’est scorse ancora dei rapidi bagliori che dovevano essere lampi.

Il vento si era un po’ calmato, ma si manteneva abbastanza fresco, spingendo continuamente l’aerostato verso la costa americana.

— L’uragano ha voltato strada, — diss’egli a Cardozo. — Bene: almeno non correremo il pericolo di ricevere qualche fulmine in pieno corpo.

— Ma la situazione non è però migliorata, mio buon Diego, — rispose il ragazzo. — Scendiamo sempre.

— Quanti metri?

— Milleduecento.

— Soli?

— Non uno di più. Siamo assai ammalati, marinaio, e se non mandiamo il nostro pallone in qualche ospitale, domani mattina ci farà bere nella gran tazza.

— Ma prima che ci tuffi in mare getteremo tutto, anche le armi, se la nostra salvezza lo esigerà. Intanto, finchè abbiamo tempo, pensiamo a mettere al sicuro il tesoro.

Si tolse dal seno una piccola chiave, aprì una cassettina d’acciajo che era avvolta fra le coperte, e levò due larghe cinture di seta che mostravano delle rigonfiature ineguali.