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pallone sulla testa e il mio Cardozo a fianco, direi che sono tornato in vita in quell’altro mondo... Ma cosa è successo?... Che il diavolo mi porti se io ci capisco qualche cosa!... Il capitano doveva avvertirmi dei brutti giuochi che fanno questi vascelli dell’aria... Ma dove siamo noi?

Si alzò, lasciando libera la fune della valvola, e si curvò sul bordo della navicella.

Ad una distanza di duemila o duemilacinquecento metri egli scorse una grande massa nera, che di quando in quando s’illuminava d’azzurro o di rosso e che veniva solcata in tutte le direzioni da lingue di fuoco che parevano folgori, tanto erano rapide. Dei sordi brontolii salivano accompagnati da strani ruggiti che parevano prodotti da un vento furioso.

— Devono essere le nubi, — diss’egli. — Siamo ancora alti assai; ma, se non m’inganno, il pallone scende con una certa rapidità. Temo di averlo salassato un po’ troppo.

Lasciò il posto, si curvò su Cardozo e lo sollevò delicatamente, chiamandolo a più riprese. Il giovanotto aprì subito gli occhi ed emise un sonoro sternuto.

— Come ti senti, figliuol mio? — gli chiese premurosamente il mastro.

— Ma benone, marinajo, — rispose Cardozo. — Ma... ho dormito io forse?...

— No, sei caduto svenuto.

— Sì... sì... ora mi ricordo... stavo assai male, la testa mi girava, il polso batteva furiosamente, il ventre mi si gonfiava... Eppure ora provo un gran benessere.

— Lo credo.

— E il signor Calderon dov’è?...

— Qui, — rispose l’agente, che si rizzava lentamente.

— Ben felice di vedervi ancora vivo, signore, — gli disse Diego. — Mi spiegherete ora cosa ci è successo.

— Il pallone scende?

— Sì, signore.

— La discesa ci ha salvati.

— Perchè? — chiesero ad una voce il mastro e Cardozo.