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paragonabile solo allo scoppio di una polveriera, scosse furiosamente gli strati dell’aria, sfondando con urto irresistibile le nubi, che si squarciarono in mille luoghi.

Il pallone si allungò, poi si allargò come se volesse scoppiare, oscillò violentemente a destra e a sinistra, quindi fece un balzo in aria così improvviso da rovesciare gli aeronauti l’uno sull’altro.

Quando questi si alzarono, la fitta nebbia più non li circondava.

Il pallone si librava in una atmosfera purissima, trasparente, dolcemente illuminata dagli azzurrognoli raggi della luna, la quale vagava fra miriadi di scintillanti stelle. Solamente la temperatura era diventata bruscamente freddissima e il termometro continuava ad abbassarsi rapidamente.

— Dove siamo noi? — si chiese Diego, che cadeva di sorpresa in sorpresa. — Siamo caduti sul polo, o dove?

— Saliamo, marinaio, — rispose Cardozo.

— Ancora?

— Quattromila metri, e il barometro precipita.

— Ma questo pallone non si fermerà più?

— Faremo un altro salasso, Diego.

— Per tornare fra le nubi? No, ragazzo mio, non ci tornerò più io là in mezzo. Ti confesso che ho provato una certa paura.

— Io mi credeva spacciato, Diego. Ma dove sono le nubi, che non le vedo più?

— Almeno a millecinquecento metri sotto di noi. Non odi questi tuoni?

— Saliamo molto in fretta. Quattromila e cinquecento metri!... Che capitombolo, se il pallone perdesse improvvisamente le sue forze!

— Ma si comporta sempre bene, fortunatamente: è vero, signor agente?

— Troppo bene, — rispose il signor Calderon. — Se continua a salire, ci darà degli altri pensieri.

— Bah! Del freddo non abbiamo paura. Ma... corpo d’un vascello sventrato!... Si comincia a gelare!...