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— Mi viene un’idea, marinaio.

— Di’ su, ragazzo mio.

— Se ci facessimo rimorchiare da quel mostro che vedo diretto verso la costa americana? Abbiamo un’àncora qui che ci può servire per...

— Là, là, tu sei pazzo. Carrai! Non mi sento in vena di fare una passeggiata in fondo al mare.

— Hai ragione, marinaio. Non avevo pensato che siffatti giganti possono tuffarsi a loro piacimento. Eccolo!... Per Bacco, come è brutto!

Il capodolio, che s’avanzava con straordinaria velocità, non era allora che a poche centinaia di passi dall’aerostato, il quale aveva senza dubbio attirato la sua attenzione.

Era enorme e, solo a vederlo, anche dall’alto del pallone, cioè fuori d’ogni pericolo, metteva addosso un certo brivido. Misurava non meno di sedici metri, con un diametro di tre e mezzo e forse quattro, e la sua testa era così grande da eguagliare il terzo della lunghezza.

La sua bocca smisurata, capace di contenere parecchie botti e di assorbire un pescecane dei più grossi, mostrava certi denti conici che non dovevano pesare meno di quattro chilogrammi ognuno.

Giunto presso il pallone, che si trovava cinquanta o sessanta metri dalla superficie del mare, il mostro si fermò come colpito da meraviglia, guatandolo coi suoi brutti occhietti a riflessi giallastri, poi cominciò a dar segni di violenta collera, emettendo lunghe note e facendo spruzzare alta l’acqua colla sua potente coda bilobata. Malgrado la sua mole, cominciò a muoversi con una vivacità straordinaria, seguendo il pallone, poi, sprofondandosi più che mezzo, con un vigoroso colpo di coda si slanciò d’un buon terzo fuori dell’acqua coll’enorme bocca aperta, tentando senza dubbio di arrivare fino alla navicella.

— Ah, mio caro, non siamo gente da lasciarci inghiottire come pesciolini, — disse il mastro. — Aspetta un po’ che ti darò io qualche cosa da masticare e che ci metterà al sicuro dai tuoi assalti.