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— Hai ragione.

— Abbassiamoci adunque.

— È presto fatto, Cardozo.

Il mastro, senza calcolare quali disastrose conseguenze poteva portare quella discesa nel caso che non venissero raccolti, afferrò senza esitare la funicella della valvola e diede uno strappo. Tosto in aria, verso la sommità dell’aerostato, si udì un leggero fischio, seguìto tosto da una serie di piccole detonazioni. Il gas, che non cercava che una uscita per lasciare l’involucro di seta, sfuggiva rapidamente.

Il pallone cominciò subito a discendere lentamente con un largo dondolamento, pur continuando ad avanzarsi verso l’est, ossia verso il preteso vascello, che continuava la rapida marcia.

Cardozo, cogli occhi fissi sul barometro che continuava a salire, contava:

— Duemilacinquecento metri... duemila... millecinquecento... mille... cinquecento... quattrocento... trecento...

— Basta! — disse Diego, lasciando andare la funicella.

Tutti e due si precipitarono sul bordo della navicella. Sotto di loro, ad una distanza brevissima, muggiva l’oceano, percorso da larghe ondate spumeggianti che s’innalzavano verso il pallone, quasi fossero desiderose di afferrarlo e d’inghiottirlo.

A sei o sette chilometri il vascello continuava a camminare; ma, cosa strana, ora pareva quasi completamente sommerso, e, cosa ancora più strana, su di lui non si vedeva nè la bianca superficie della tolda, nè un albero qualunque, nè una ciminiera,1 nè una manovra qualsiasi.

Il mastro e Cardozo si guardarono in viso, interrogandosi reciprocamente cogli occhi.

— Ci capisci tu qualche cosa? — chiese infine il ragazzo.

— Temo di aver commesso una grande bestialità, figlio mio, — rispose il mastro.

— Perchè, mio buon Diego?

  1. Fumajuolo.