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— No, poichè gli Araucani sono gl’Indiani più inciviliti delle due Americhe.

— Che ci abbiano veduti a cadere?

— È probabile.

— Sono ospitali?

— Ospitalissimi, e col loro mezzo noi potremo calare nel Chilì senza troppe fatiche.

— Allora siano i benvenuti, — disse il mastro.

Il drappello era giunto allora a cinquanta o sessanta passi e si era arrestato, guardando con viva curiosità gli aeronauti e specialmente il signor Calderon, il cui costume di stregone patagone doveva sembrare abbastanza strano indosso ad un uomo dalla pelle bianca. Quella brigatella si componeva di sette Indiani, di statura elevata e ben proporzionata; avevano la testa e viso rotondo, fronte piccola, naso un po’ schiacciato, occhi piccoli e vivaci e il colorito leggermente abbronzato, tirante però un pochino all’olivastro.

Indossavano delle grosse camicie di lana azzurra, stretta ai fianchi da una larga fascia rossa, calzoni piuttosto attillati e il tradizionale poncho dai vivaci colori; alle braccia ed alle orecchie avevano pendenti d’oro e d’argento di forma per lo più quadrata, e alle dita grossi anelli.

Il mastro, vedendo che non si muovevano e che avevano un’attitudine niente affatto ostile, mosse a loro incontro, salutandoli cortesemente.

Un Indiano, che pareva il capo a giudicarlo dalle vesti più ricche e dalla maggior copia di anelli e di braccialetti, si fece innanzi, dicendo in lingua spagnola:

— Dobbiamo accogliervi come amici, o come nemici?

— Siamo amici, — rispose il mastro.

— Siete discesi dal cielo?

— Sì, ma con un pallone.

L’Indiano sorrise.

— Io conosco i palloni degli uomini bianchi, — disse poi con un certo orgoglio. — Gli Araucani non sono selvaggi.

— Ciò mi dispensa dal darvi delle spiegazioni, che sarebbero assai imbarazzanti.