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— C’è pericolo di urtare contro qualche montagna?
— Non credo che siamo vicini alle Ande.
— Se urtassimo?
— Allora buona notte a tutti.
— Il pallone non resisterà?
— Si schiaccerà come una semplice pera cotta.
— Mi fai venire i brividi.
— E a me viene caldo.
— Ah!...
— Buona notte, ragazzo!
Il pallone, cui il vento continuava a spingere innanzi con velocità crescente, sostenendolo egregiamente, era rientrato nelle nubi, che si accavallavano confusamente. L’oscurità divenne completa attorno agli aeronauti, essendo cessati i lampi. Nell’aria si udivano dei sordi brontolii che parevano prodotti da lontani tuoni e di sotto dei fischi stridenti che talvolta si cambiavano in veri ruggiti. Si avrebbe detto che il vento scuoteva con furore senza pari delle immense piante, torcendone come fuscelli i rami e i tronchi.
Alle quattro del mattino avvenne un urto alla base dell’aerostato, che per poco non fece cadere i tre aeronauti.
— Marinajo! — esclamò Cardozo, che aveva impallidito, — abbiamo toccato.
— Lo so, figliuol mio, — rispose il mastro, che aveva la fronte imperlata di freddo sudore.
— Che il pallone sia disceso?
— O che la terra si sia innalzata? — chiese invece il mastro. — Mi pare d’aver veduto una massa oscura agitarsi a pochi passi da me.
— Un picco, od un albero?
— Più un albero che un picco. Signor Calderon!
— Cosa desiderate? — chiese l’agente del Governo, la cui voce per la prima volta non era più tranquilla.
— Sapreste dirci dove siamo?
— Sopra una foresta di pellin alti almeno cento piedi.
— Allora siamo sulle Ande.