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— Corna di Belzebù! — esclamò con rabbia. — Ecco una palla perduta, che forse rimpiangeremo.

— Attenzione, marinajo! — disse Cardozo.

— Vengono?

— Eccoli!

A cinquanta o sessanta passi erano improvvisamente sorti dalle erbe quindici o venti uomini. Una grandine di bolas cadde contro lo steccato, aprendo dei fori nel legno semimarcito, poi i nemici si scagliarono innanzi colle lance in mano, empiendo l’aria di urla terribili.

Cardozo, quantunque spaventato dalla vicinanza dei formidabili guerrieri, le cui stature gigantesche spiccavano vivamente sul fondo azzurrastro dell’orizzonte, che i lampi illuminavano quasi senza interruzione, puntò la carabina e fece fuoco nel mezzo della banda.

Un uomo cadde fra le erbe; ma gli altri continuarono la corsa, mentre altre bande apparivano qua e là. Il mastro, che in quel frattempo aveva caricato il fucile, fece pure fuoco.

Un altro guerriero cadde, gettando un urlo di dolore. I suoi compagni, spaventati da quei colpi maestri, si arrestarono indecisi, poi volsero le spalle, gettandosi in mezzo alle erbe.

— Era tempo! — esclamò il mastro, tergendosi il freddo sudore che gli inondava la fronte. — Ancora pochi passi, e per noi era proprio finita.

Ma la sua gioia fu di breve durata. Le altre bande, che non avevano ancor provato gli effetti del fuoco, si avanzavano intrepidamente, lanciando le bolas, che, se non colpivano i difensori dell’estancia, sfondavano a poco a poco la malferma palizzata. Erano oltre cento guerrieri, armati tutti di lance e decisi, a quanto pareva, a tutto.

— Non perdere colpo, Cardozo, — disse il mastro.

— Ho il polso fermo, — rispose il ragazzo.

— Tira sui più vicini.

— Sì, marinajo.

— E se vedi Hauka, non risparmiarlo.