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— Bell’idea, marinajo, — rispose Cardozo, — poichè, se devo dirti la verità, ho i piedi gonfi e le membra fracassate da quella corsa furiosa.
— Ne avremo ancora per poco, mio povero ragazzo. Se tutto va bene, fra otto giorni potremo riposarci in un comodo albergo.
— Lo spero, mastro. Ehin! Cosa vedo là?
— To’! — esclamò il mastro, fermandosi. — Si direbbe un bue che sta schiacciando un sonnellino.
— O una carogna?
— È ciò che sapremo presto, Cardozo.
A due o trecento passi da loro, coricata fra le erbe, si vedeva una massa biancastra che somigliava ad un grosso bue. Quantunque all’intorno svolazzassero in gran numero dei grossi falchi, detti dagli indigeni carrancho, non si muoveva.
— Temo che sia una carogna, — disse il mastro dopo aver fatto alcuni passi. — Quegli uccelli non ardirebbero abbassarsi tanto su un essere ancora vivo.
Il mastro non si era ingannato. Il bue, che era di forme colossali, pareva morto da parecchio tempo: nondimeno Cardozo, che si era avvicinato per meglio osservarlo, notò con molta sorpresa che non tramandava alcun odore.
— Che sia morto da soli pochi giorni? — chiese egli. — In tal caso possiamo levare alcune bistecche.
— Prova a toccarlo, — rispose il mastro.
Il ragazzo ubbidì; ma, appena vi si appoggiò sopra, la massa cedette con un grande scricchiolìo di ossa infrante, mentre dal disotto fuggivano degli strani animaletti, che pareva si fossero trovati un ricovero là dentro.
— Cosa sono? — chiese Cardozo, facendo un salto indietro.
Il mastro, invece di rispondere, afferrò la carabina per la canna e si mise a picchiare furiosamente gli animaletti; ma questi si ripiegarono in forma di palla, presentando a quei colpi una specie di corazza ossea, che pareva fosse più dura del ferro.