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— Voi e Cardozo batterete i dintorni onde procurarci della selvaggina, il vostro compagno rimarrà a guardia dell’estancia, e io andrò in traccia dei cavalli.

— Sperate di trovarne?

— Ne troverò: siate certo. Se occorre, mi spingerò assai lontano, verso il lago Urre, sulle cui rive vivono delle numerose bande di cavalli selvaggi.

— All’opera dunque, — disse il mastro.

— Sì, affrettiamoci: prima di venir sorpresi dai Patagoni, dobbiamo essere pronti.

Infatti la prudenza più elementare insegnava di affrettare i preparativi per la partenza. I Patagoni, che a quell’ora dovevano essersi svegliati, non potevano tardare a mostrarsi sicuri di riavere il loro stregone e i due figli della luna.

Il gaucho, che pareva instancabile, rimontò in sella e spinse il suo cavallo verso l’est; Cardozo e il mastro, gettatesi in ispalla le carabine, si avventurarono nella prateria, mentre il signor Calderon si appollaiava sulla cima della capanna onde sorvegliare i dintorni.

La giornata prometteva di essere buona pei due cacciatori. Per l’aria volteggiavano immensi stormi di avvoltoi neri, di vindita, di pernici da campo, e attraverso le erbe si vedevano fuggire in non piccolo numero struzzi, volpi azara e viscacha, piccoli roditori, che si affrettavano a rifugiarsi nelle loro tane. In lontananza correvano disordinatamente anche parecchi guanachi, i quali però parevano di non aver voglia di lasciarsi avvicinare.

Cardozo e il mastro, dopo aver dato uno sguardo verso il sud, onde assicurarsi che per allora nessun pericolo minacciava l’estancia, e un altro verso l’est, dove galoppava il gaucho in traccia dei cavalli, che non si scorgevano in alcuna direzione, si diressero verso alcune macchie, in mezzo alle quali giganteggiava un ombù dal superbo fogliame.

— C’imboscheremo colà, — disse il mastro — e faremo fuoco sulla selvaggina che verrà a tiro delle nostre carabine.