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— È strano, — mormorò il mastro. — Eppure non siamo sordi.

— Cosa facciamo? — chiese Cardozo, che era ritornato sul sentiero.

— Prepariamo le carabine e tiriamo innanzi.

Risalì in sella, armò il fucile e ripartì, seguìto dai due compagni. I cavalli, eccitati colle briglie, superarono di carriera la piccola altura e discesero sempre di corsa il versante opposto.

D’improvviso il cavallo del mastro stramazzò violentemente a terra, sbalzando il cavaliere in mezzo ai cactus. Gli altri due cavalli, che erano vicinissimi, caddero alla loro volta, lanciando a destra e a sinistra Cardozo e l’agente del Governo.

Quasi contemporaneamente un lampo rompeva le tenebre, seguìto da una fragorosa detonazione, e una pioggia di proiettili passava fischiando sopra i caduti.

Cardozo, il più agile di tutti, si alzò rapidamente in piedi e, senza curarsi di sapere se si era rotta qualche costola in quell’improvviso capitombolo, puntò la carabina contro un uomo che era improvvisamente apparso fra i cespugli tenendo in mano un trombone ancor fumante. Già stava per far scattare il grilletto, quando quell’uomo si slanciò innanzi, gridando:

— Ferma, Cardozo!...

Il ragazzo lasciò cadere la carabina, mandando un grido di gioja.

— Corna di mille diavoli! — esclamò il mastro, che si era alzato zoppicando. — Chi è che assassina la gente?

— Io, — rispose una voce ben nota.

— Ramon! — esclamò il mastro. — Mille milioni di fulmini!

Il gaucho si fece innanzi, conducendo per la briglia il suo cavallo, che si era tenuto appiattato fra i cespugli.

— Mi rincresce immensamente, signori, di avervi fatto cadere così bruscamente e di aver rovinato i vostri cavalli, — disse con accento di dolore. — Spero che non avrò ferito nessuno.